Notule

 

 

(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XV – 17 novembre 2018.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: BREVI INFORMAZIONI]

 

Quattro nuovi marker per la prognosi del glioma di basso grado di malignità. I gliomi costituiscono un’ampia categoria di tumori cerebrali che originano dalla glia. Il glioma LGG (Lower Grade Glioma) corrisponde ai gliomi di II e III grado del criterio di classificazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Poiché tali neoplasie possono infiltrare le aree adiacenti, la rimozione completa nel trattamento chirurgico è spesso molto difficile, col risultato di frequenti recidive e progressione maligna verso le forme di alto grado. Patil e Mahalingam hanno scoperto affidabili indicatori di sopravvivenza, che possono essere rilevati mediante tecniche immunoistochimiche per conoscere la prognosi dei gliomi di più basso grado. Dei quattro marker, CHK2_pT68 è risultato essere “protettivo”, mentre MSH6, ARID1A e PAXILLIN erano associati a bassa sopravvivenza. La scoperta di queste nuove proteine-biomarker consente di prevedere, con buona approssimazione, la sopravvivenza e aiuta nella gestione terapeutica dei pazienti affetti da LGG. [Gene 679: 57-64, 2018].

 

Provata la genesi di sintomi autistici per perdita parziale di Mir137. I ruoli del microRNA-137 (MIR137), che le analisi genetiche hanno associato a patologie neuropsichiatriche quali le psicosi schizofreniche e i disturbi dello spettro dell’autismo, sono oggetto di intensi studi, dai quali finora si è dedotta una partecipazione importante alla neurogenesi e alla maturazione neuronica. L’impatto della perdita di funzione di miR-137 in vivo non è ancora ufficialmente noto, ma è stato accertato dallo studio di Ying Cheng e colleghi in pre-pubblicazione online in questi giorni. La perdita completa di miR-137 nel topo knockout (KO) o nel suo sistema nervoso (cKO) determina letalità post-natale, mentre l’eterozigosi KO e cKO è possibile e, in particolare, la cKO causa alterazioni della plasticità sinaptica, comportamenti ripetitivi e deficit di apprendimento e comportamenti sociali. Le analisi proteomica e trascrittomica hanno rivelato che il target mRNA del miR-137, la fosfodiesterasi 10a (Pde10a), è elevata in questi eterozigoti. Il trattamento con la papaverina, inibitore della Pde10a, o la sua eliminazione, ha migliorato i deficit comportamentali osservati negli eterozigoti cKO. Nell’insieme, i risultati di questo studio suggeriscono il modo in cui miR-137 operi durante lo sviluppo e il suo difetto possa contribuire a manifestazioni cliniche di malattie. [Cfr. Nature Neuroscience AOP – doi: 10.1038/s41593-018-0261-7, 2018].

 

Un caso di una rara variante della malattia di Alzheimer: l’atrofia corticale posteriore. L’atrofia corticale posteriore è una rara patologia descritta per la prima volta nel 1988 e consistente in una progressiva degenerazione della corteccia del lobo occipitale, che spesso si accompagna ad una inspiegabile emianopsia omonima. Meyer e Hudock della Guthrie Clinic di Sayre (USA) hanno pubblicato il caso di una donna di 77 anni, clinicamente affetta da malattia di Alzheimer con patologia oftalmologica poi esitata in una progressiva emianopsia omonima destra. Lo studio mediante neuroimmagini del cervello ha rivelato una chiara emi-atrofia della corteccia occipitale sensoriale (visiva) primaria di sinistra. Questo caso merita attenzione e suggerisce un approfondimento del particolare pattern patologico, perché la degenerazione nella malattia di Alzheimer non si localizza alla corteccia visiva primaria, una localizzazione che pone in questione la demenza a Corpi di Lewy, la degenerazione cortico-basale o una malattia da prioni. [Cfr. Meyer M. A., et al. Neurol. Int. 10 (2): 7665, 2018].

 

Espressa solo nel cervello dei bambini, RBM3 è una potente protettrice dallo shock da freddo. Jackson e colleghi hanno rilevato che RBM3 e CIRBP (cold-induced RNA-binding protein) sono abbondanti nel cervello di infanti e lattanti, meno espresse nei bambini e assenti nel gruppo di adolescenti e adulti. Gli autori dello studio hanno anche testato KLB e riportano, per la prima volta, che è abbondante nel cervello nelle fasi precoci dello sviluppo. I risultati dello studio, oltre a fornire dati sulla speciale protezione dal freddo di cui gode il cervello degli infanti, contribuiscono a spiegare l’efficacia scevra apparentemente da effetti collaterali dell’ipotermia terapeutica per i danni cerebrali del neonato [Jackson T. C. et al., Dev Neurosci. Nov 6: 1-12, 2018].

 

Dieta mediterranea e MediCul in anziani con decadimento intellettivo. Numerose osservazioni hanno documentato l’efficacia della dieta mediterranea (MD) nel rallentare il decadimento cognitivo senile, in generale, e quello che precede come MCI (mild cognitive impairment) lo sviluppo della demenza. Un nuovo studio ha sottoposto a verifica, su un campione di 78 anziani (66% donne), l’affidabilità terapeutica della MD e di un nuovo strumento di misura, il MediCul (Culinary Index), che prevede 50 elementi di valutazione. Lo studio ha confermato l’efficacia della MD e ha provato un’affidabile e discretamente valida capacità informativa circa l’adesione a questo regime dietetico da parte degli anziani affetti da MCI. [Radd-Vagenas S. et al., Brit J Nutr. 120 (10): 1189-1200, 2018].

 

Patologia cerebrale con gravi conseguenze neuroevolutive in una bambina per trauma della madre in gravidanza. I traumi, e particolarmente i danni traumatici dovuti ad incidenti d’auto durante il terzo trimestre di gravidanza, spesso non comportano conseguenze rilevabili per il feto, ma quando si producono danni al cervello fetale si ha la morte in utero. Safdari e colleghi descrivono il caso di un incidente d’auto in una donna alla ventottesima settimana di gravidanza, il cui feto sembrava essere rimasto indenne. Alla nascita, la bambina presentava ipoevolutismo ed ipotonia. Uno studio di neuroimaging ha rilevato aree di ipoplasia e aplasia di regioni cerebrali, associate ad estrema dilatazione dei ventricoli laterali. Dopo 4 mesi, la piccola presentava ritardo dello sviluppo, deficit neurologico generale (ipotonia), cecità, disfagia e convulsioni parziali semplici. Un esito così grave costituisce un monito alla prudenza, se si pensa che la valutazione medico-legale del caso afferma con certezza che l’uso della cintura di sicurezza avrebbe evitato il trauma fetale. [Safdari M. et al. Bull Emerg Trauma 6 (4): 372-375, Oct., 2018].

 

Inaugurata una serie di incontri di aggiornamento sull’unicità umana. La nostra società scientifica ha dedicato in passato numerosi incontri di aggiornamento alla specificità umana e alle differenze fra l’uomo e gli altri primati, con particolare riguardo a struttura e funzione cerebrale. L’argomento è tornato di attualità anche grazie al recente numero monografico Humans di Scientific American (319: 3, 2018) che ha proposto in forma accessibile ed utile per la didattica i risultati di numerosi studi recentemente condotti in questo campo. Una nuova serie di incontri, in forma di discussione, ha preso avvio lo scorso sabato 10 novembre, affrontando il tema del fallimento nel cercare di identificare, quale elemento distintivo dell’intelligenza umana, un comportamento chiave assente negli animali. Il criterio, che ha nobili antenati nelle osservazioni morfo-funzionali del diciannovesimo secolo – si pensi all’opposizione del pollice caratterizzante la motilità della nostra mano rispetto a quella delle scimmie – ha identificato nel tempo elementi apparentemente esclusivi, che la ricerca ha poi dimostrato, immancabilmente, appartenere in una forma minore o diversa anche ad altre specie animali.

La discussione ha fatto ampio riferimento agli studi di etologia raccolti da nostri soci negli anni recenti e al volume di Kevin Laland pubblicato l’anno scorso (Darwin’s Unfinished Symphony: How Culture Made the Human Mind. Princeton University Press, 2017).

Il possesso di facoltà operative di comprensione, analisi, sintesi ed elaborazione della realtà caratteristiche dell’intelligenza umana che, non solo sfrutta la simbolizzazione linguistica ma la crea, non origina dai semplici requisiti di base della cognizione, perché deriva dalla nostra capacità di acquisire conoscenza dagli altri e usare memorie comuni di esperienze per concepire nuove soluzioni ai problemi che ci pone la vita quotidiana. In proposito, è stato osservato che la forma del cercare la soluzione a un problema della collettività ha caratterizzato le imprese umane fin dai primordi riportati nei documenti storici. La capacità di innovazione, o più semplicemente di trovare una nuova soluzione a un problema e trasmetterla ai propri simili, a lungo è stata considerata unicamente umana, ma la ricerca ha dimostrato che tale capacità è presente in altre specie animali. Basti pensare agli scimpanzé che aprono le noci servendosi di pietre usate come martelli o ai delfini che usano strumenti per scovare le prede nascoste sott’acqua. La nostra unicità, secondo Laland, è espressa nella capacità di insegnare ad altri conoscenze e abilità acquisite e trasmetterle alle generazioni successive con una precisione tale da consentire loro di eseguire compiti come costruire grattacieli o vettori spaziali per raggiungere il suolo lunare.

 

Meraviglie degli uccelli e intelligenza della cornacchia nera volta al male. All’incontro sull’unicità umana è stato citato l’esempio di quegli storni che a Fredericksburg hanno attaccato una macchinetta per il pagamento automatico del lavaggio dell’auto, riuscendo a svuotarla e a portare via letteralmente centinaia di dollari in monete. Poi si è commentato il comportamento delle cornacchie nere del Giappone (Japanese Carrion Crows) che, non riuscendo a rompere il guscio delle noci di cui si nutrono, le depongono sull’asfalto delle vie cittadine dove i veicoli sfrecciano ad ogni semaforo verde. I bravi uccelli attendono pazienti e, quando scatta il rosso, ritirano le noci aperte dalle ruote delle auto. È questo un esempio di capacità ingegnosa che, secondo i criteri etologici, si considera un’invenzione. Ma, per questo stesso uccello, è stato raccontato un episodio poco rassicurante.

La scorsa estate, Takahiro Takiguchi stava camminando come di consueto lungo il percorso che lo porta al suo ufficio nel centro di Tokio, quando, ad un tratto, una cornacchia nera ha fatto un’incursione in volo contro di lui, prendendolo alle spalle e sfiorandogli il capo di furia. Era un avvertimento, ma il povero malcapitato non lo sapeva. L’uccello voleva che si allontanasse da quella via. In quel periodo, infatti, le cornacchie nere giapponesi diventano particolarmente aggressive per proteggere i piccoli che sono all’epoca dei primi voli. Takahiro, ignaro di tutto ciò, ha proseguito e, allora, un’altra cornacchia è passata all’aggressione vera e propria, avventandosi sul capo e ferendolo con due micidiali colpi di becco, che lo hanno costretto a ricorrere alle cure mediche. Considerate le abilità di memoria e le capacità cognitive di questa specie aviaria, con ogni probabilità l’aggressione preventiva a Takahiro Takiguchi è stata motivata dalla similarità delle sue fattezze con quelle di qualcuno che in precedenza è giunto a disturbare il nido o i giovani nell’apprendimento del volo.

 

Notule

BM&L-17 novembre 2018

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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